Un SÌ per lottare contro l’ingiustizia che le Svizzere e gli Svizzeri subiscono sul mercato del lavoro nel loro proprio paese

Il 9 febbraio 2014, popolo e cantoni hanno accettato un’iniziativa UDC mirante a riprendere il controllo della migrazione sul nostro territorio. Questa decisione è risultata essere molto sgradita alle élite politiche, per la grande maggioranza contrarie al testo. La cosa non ha nulla di sorprendente, perché il progetto era di natura tale da contrariare l’Unione europea, questa Unione europea cui molti vogliono compiacere o addirittura aderire. Bisognava reagire. I partiti si sono allora accordati per edulcorarne il testo e, finalmente, renderlo inutile. Oggi, torniamo alla carica con la nostra iniziativa per un’immigrazione moderata, che sarà più difficile da travestire, ciò al fine di garantire che la volontà popolare sia fedelmente seguita e non adattata.

Come ogni volta che si tratta dei nostri rapporti con l’Unione europea, abbiamo contro di noi il fronte unito dei delusi del 6 dicembre 1992, quelli per i quali fu una vera e propria domenica nera. I partiti politici, Economiesuisse e perfino, più sorprendentemente, i sindacati sono schierati contro il nostro testo. Dico più sorprendentemente i sindacati, perché la loro opposizione è senza dubbio la più incredibile. Infatti, l’iniziativa per la limitazione mira semplicemente a dare la priorità all’assunzione di manodopera residente in Svizzera, quella che i sindacati dovrebbero difendere! Di fatto, le organizzazioni sindacali non si preoccupano più delle lavoratrici e dei lavoratori abitanti sul nostro territorio, ma solamente delle misure d’accompagnamento. È vero che i sindacati svolgono un ruolo da non trascurare nel quadro di queste misure, ruolo cui non sono disposti a rinunciare, a costo di sacrificare il mondo del lavoro. Fra il difendere l’operaio e il salariato, o difendere la propria presenza nei salotti vellutati nei quali si discutono gli affari del mondo, i sindacati hanno scelto…

Gli Svizzeri ingiustamente privati di un diritto costituzionale

Riassumendo, la vera sfida del 27 settembre non è solo votare SÌ alla nostra iniziativa, bensì insorgere per lottare contro l’ingiustizia che stanno subendo le Svizzere e gli Svizzeri. Il 9 febbraio 2014, il popolo e i cantoni, asfissiati dall’immigrazione smisurata e dalle sue nefaste conseguenze, hanno votato per porvi termine. Preferendo inginocchiarsi di fronte a Bruxelles piuttosto che al popolo, le élite politiche non solo hanno privato le Svizzere e gli Svizzeri di una politica migratoria misurata e adeguata, bensì anche della preferenza nazionale nell’assunzione, che è un diritto garantito dalla Costituzione di cui le cittadine e i cittadini sono stati ingiustamente defraudati. Noi non tolleriamo l’ingiustizia, ecco perché ci rivoltiamo!

Ma torniamo ai nostalgici e indispettiti del 6 dicembre 1992 che ci avevano promesso la fine della Svizzera, questo piccolo e pretenzioso paese che mai sarebbe sopravvissuto, isolato nel bel mezzo dell’Europa. Le Cassandre avevano torto già a quell’epoca. La Svizzera ha saputo trovare una via che permette di salvaguardare i suoi interessi pur collaborando con la Commissione europea. La via bilaterale era nata, una via di cui tutti si sono a lungo felicitati, dimenticando un po’ presto che, se abbiamo potuto imboccarla è proprio perché l’adesione era stata rifiutata.

Nel corso dei tempi, le nostre autorità hanno avviato una politica di avvicinamento progressivo volto a farci entrare nell’Unione europea dalla porta di servizio. L’accordo di libera circolazione segue questo percorso. Fin dalle prime discussioni, l’UDC – sola contro tutti – aveva messo in guardia contro un arrivo massiccio di lavoratori provenienti dall’UE, attratti dai nostri salari molto allettanti. Quante parole rassicuranti abbiamo sentito in quell’occasione! Non ci sarebbe stato alcun dumping salariale, i lavoratori distaccati si sarebbero guardati dal mettersi in concorrenza sleale con le imprese locali, la pressione sui cantoni di frontiera non sarebbe aumentata perché avremmo potuto sfoderare l’arma letale: le misure d’accompagnamento, tanto care ai sindacati.

Sovrappopolazione, cementificazione, ingorghi stradali, disoccupazione, criminalità: ecco il bilancio della libera circolazione

Oggi, non possiamo che constatare il valore che avremmo dovuto dare a queste previsioni, ossia … nessuno. Nel corso del passato decennio, sono più di un milione le persone venutesi a insediare sul nostro territorio. Va da sé che non possiamo accogliere una tale popolazione senza dover prendere le misure necessarie per fornire loro un’infrastruttura vitale corrispondente agli standard svizzeri. Mentre si stanno plebiscitando a destra e a manca la salvaguardia dell’ambiente e la limitazione della cementificazione, la libera circolazione ci impone l’esatto contrario. Bisogna costruire ancora e ancora, per poter alloggiare i nuovi arrivati, per adeguare le infrastrutture di trasporto ed energetiche. Dappertutto ove sia possibile, si sacrifica il territorio sull’altare del dezonamento per l’habitat e per i trasporti.

Gli agglomerati si estendono a scapito della campagna, del nostro ambiente. Nelle città si pratica la politica della scatola di sardine, ossia si tende ad ammassare più gente possibile in uno spazio limitato. A Ginevra, è la vegetazione che ne paga il maggior prezzo. Ogni giorno, si abbattono alberi, si riduce lo spazio verde per soddisfare una domanda che sta esplodendo in modo esponenziale. Parlo di Ginevra perché conosco bene questa città, ma so che questa situazione non è una nostra esclusiva, un buon numero di città ricorre a questa ricetta per tentare di risolvere un problema senza volerlo affrontare alla radice. Questo fenomeno causa naturalmente gravi problemi di circolazione, perché le strade non sono assolutamente adeguate a queste nuove sollecitazioni. Gli ingorghi diventano interminabili, sprofondano le nostre città in ciò che si potrebbe chiamare l’Apocalisse al rallentatore. Non si contano più le ore passate ad attendere in una colonna di vetture che non avanzano. I centri urbani, ormai inaccessibili, muoiono, mentre i centri commerciali spuntano come funghi nelle periferie, a scapito dell’ambiente. Il “Léman Express” che Berna ci ha imposto a caro prezzo? È utilizzato poco o pochissimo dagli 87’000 frontalieri che ogni giorno si recano a Ginevra.

A Ginevra, la criminalità importata è esplosa. Nel comune di frontiera Perly, le rapine alle stazioni di servizio – con i ladri che ripartono sempre in direzione della Francia – sono moneta corrente. Lo scorso autunno, sono le aggressioni a parecchie donne da parte di delinquenti francesi  ad aver fatto i titoli nei giornali. La criminalità straniera è aumentata in Svizzera, la polizia ginevrina è in questo momento molto attenta ai giovani minorenni non accompagnati, provenienti da paesi stranieri, che causano grandi difficoltà. La Svizzera è diventata il supermercato di delinquenti di tutti i tipi, che vengono a servirsi nei nostri commerci, negli appartamenti di persone anziane, in strada o nei bus, derubando un onesto cittadino che paga le sue imposte.

La disoccupazione nei cantoni di frontiera è nettamente più elevata che altrove in Svizzera

Sempre nelle regioni frontaliere, la pressione sul mercato del lavoro è particolarmente intensa, specialmente per il personale di una certa età che molte aziende rimpiazzano volentieri con una manodopera europea giovane e quindi meno costosa. Le cifre della disoccupazione sono purtroppo eloquenti. Nel mese di giugno 2020, Ginevra ha raggiunto il 5%, seguito da Vaud, Neuchâtel e Giura con il 4,6%, contro una media svizzera del 3,2%. Si constata anche in maniera abbagliante ciò che succede nelle regioni con forte domanda di lavoratori europei: la disoccupazione è da record. Rilevo inoltre, che il tasso medio per i cittadini svizzeri ammonta al 2,4% contro il 5% degli stranieri.

Anche la formazione soffre della libera circolazione. Formare un apprendista costa all’impresa formatrice, mentre che l’assunzione di un giovane europeo già formato dà un beneficio immediato. In tali condizioni, perché perdere tempo e denaro per insegnare un mestiere? Approfitto di quest’occasione per ringraziare sinceramente gli imprenditori che continuano a trasmettere il loro sapere, le loro competenze alla generazione più giovane. Se vogliamo continuare a puntare sulla qualità svizzera, è essenziale che il nostro “know how” rimanga nelle nostre mani e non sia esclusivamente affidato a una manodopera venuta da fuori.

Concluderò evocando la crisi che stiamo attraversando con il Covid-19. Al culmine della pandemia, questa primavera, il Consiglio federale ha scelto di chiudere le nostre frontiere, separando con cura i frontalieri autorizzati a entrare in Svizzera da quelli non autorizzati. Le regioni di frontiera hanno immediatamente vissuto una calma inabituale sul fronte della criminalità. Non appena tornati alla normalità, l’11 maggio, i delinquenti si sono di nuovo precipitati da noi, al punto che la polizia ha dovuto adottare delle misure particolari a Ginevra e nel canton Neuchâtel.

Un SÌ avrà un doppio effetto positivo, sull’impiego e sulla sicurezza

La nostra iniziativa per la limitazione avrà quindi un doppio effetto benefico. Essa permetterà di valorizzare le competenze indigene sul mercato del lavoro e lotterà nel contempo contro la delinquenza importata. Riassumendo, sostenere la nostra iniziativa significa dire SÌ a più sicurezza e NO a una criminalità importata!

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Circa l‘autore
Céline Amaudruz
Vicepresidente dell'UDC
Ginevra (GE)
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